L’art. 21, comma 2, lettera g) stabilisce che la fattura debba riportare natura, qualità e quantità dei beni e dei servizi formanti oggetto dell'operazione. L’assenza di tali elementi comporta l’irregolarità del documento, inficiando anche la possibilità di utilizzarlo ai fini della detraibilità dell’IVA.
In campo agricolo, però, esistono alcune fattispecie contrattuali che presentano caratteristiche peculiari e per cui sono previsti alcuni temperamenti al principio generale sopracitato. Una di queste tipologie contrattuali è, senza dubbio, la vendita di erbe o di frutta in piedi.
Vendita in piedi: di cosa si tratta?
In linea generale, la vendita in piedi è il contratto con cui un imprenditore agricolo vende, a un commerciante o a un altro imprenditore agricolo, tutti i frutti presenti su un determinato fondo o di una determinata piantagione già venuti ad esistenza al momento dell’accordo.
Giova precisare che, come stabilito dall’art. 820 c.c., sono frutti tutti quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l'opera dell'uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere.
I frutti diventano cose a sé stanti solo a seguito della raccolta, infatti, fino a quel momento devono essere considerati parte integrante della cosa madre e si potrà disporre degli stessi esclusivamente come di beni che devono ancora venire ad esistenza (cose future).
È proprio in questa prospettiva che si inserisce la vendita in piedi, la quale deve essere considerata una vendita di cose future, la cui disciplina è contenuta nell’art. 1472 c.c. Ivi si stabilisce che “nella vendita che ha per oggetto una cosa futura, l’acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza. Se oggetto della vendita sono gli alberi o i frutti di un fondo, la proprietà si acquista quando gli alberi sono tagliati o i frutti sono separati”.
Momento impositivo e momento traslativo
Nell’ambito del contratto di vendita in piedi, due sono i momenti fondamentali di cui occorre tenere conto per una corretta gestione del rapporto.
Il primo è il momento in cui sorge l’obbligazione, ossia quando le parti si accordano per la vendita di una cosa futura che, come sopradetto, verrà ad esistenza al momento dello stacco del frutto dalla pianta.
Il secondo momento decisivo è, invece, quello traslativo, ossia quello in cui avviene il passaggio della proprietà dei beni. Contestualmente a tale momento, generalmente individuato nella separazione dei frutti dalla pianta o dal terreno, insorge in capo ai contribuenti anche l’obbligo impositivo.
Detrazione possibile anche senza l’indicazione della quantità in fattura?
Per le parti contrattuali, nel momento in cui viene compilata la fattura, risulta essere praticamente impossibile individuare con precisione la quantità di beni che effettivamente saranno fatti oggetto dell’operazione.
A lungo ci si è chiesti se la mancata indicazione della quantità potesse avere conseguenze negative sulla possibilità di portare in detrazione la relativa IVA da parte dell’acquirente.
Oggi, la dottrina prevalente sembra orientata a dare risposta negativa a questa domanda, anche alla luce di un’importante pronuncia della Corte di Cassazione (sent. 16649/2011), la quale ha affermato che:
- la mancata indicazione della quantità in fattura non può incidere sul diritto di detrazione IVA in quanto si tratta della corretta manifestazione di una legittima transazione finanziaria prevista dal codice civile;
- per contestare eventualmente l’operazione, l’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare che la fattura si riferisce ad un’operazione effettivamente inesistente, non potendo limitarsi a eccepire la mancanza di uno dei requisiti di cui all’art. 21 del Decreto IVA.
Concludendo, quindi, nell’ambito di una qualsiasi vendita di frutti in piedi, la mancata indicazione della quantità in fattura non dovrebbe mai inficiare il diritto alla detrazione IVA spettante al soggetto acquirente.
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