La materia della TARSU, la tassa di smaltimento dei rifiuti urbani, è generalmente disciplinata da regolamenti comunali che hanno il compito di modellare la normativa nazionale secondo le esigenze territoriali.
Nonostante ogni Comune presenti discipline leggermente diverse tra di loro, uguali e comuni restano i principi generali che stanno alla base del tributo.
Oggetto di numerosi dubbi e altrettanto contenzioso, è la questione relativa all’esenzione TARSU per i locali che producono rifiuti agricoli.
Sul punto, si è recentemente espressa la CTP di Pavia che, con la sentenza n. 307/2/2017, ha accolto le ragioni del contribuente, ribadendo il principio per cui i rifiuti agricoli non possono essere considerati come rifiuti solidi urbani, salvo diversa previsione del relativo regolamento comunale e che, pertanto, le relative aree non possono essere soggette a tassazione.
Il caso su cui è stata chiamata a pronunciarsi la CTP riguardava un coltivatore diretto che si vedeva notificato un avviso di accertamento per la TARSU 2011, per i locali destinati a residenza ed esercizio dell’attività agricola.
In linea di principio, i rifiuti prodotti nei fabbricati destinati all’attività agricola non possono essere considerati come rifiuti solidi urbani, salvo che i regolamenti comunali non procedano ad una specifica assimilazione degli stessi ai rifiuti urbani, industriali o artigianali. Pertanto, in assenza di tale assimilazione, le superfici produttive di rifiuti agricoli non sono soggette a TARSU. Alternativamente, se tale assimilazione è stata operata, la tassa sarà dovuta salvo la prova che si tratti di locali inidonei a produrre rifiuti (come previsto dall’art. 62, comma 2 del D. Lgs. 507/1993).
Chiamata a pronunciarsi sull’avviso di accertamento, la CTP ha rigettato le pretese del Comune, confermando come corretta la condotta del contribuente, sulla base di due argomentazioni.
La prima, prevalente, di carattere formale: il regolamento comunale non prevedeva la specifica assimilazione dei rifiuti agricoli a quelli urbani o industriali; pertanto, le superfici oggetto di accertamento non dovevano essere assoggettate ad alcuna imposta.
A conferma della tesi, poi, i giudici di merito hanno presentato un’ulteriore argomentazione, di natura sostanziale: nel caso di specie, infatti, i rifiuti prodotti erano qualificati come reflui zootecnici e altre sostanze naturali non pericolose, le quali venivano smaltite dal coltivatore diretto tramite il loro spargimento in campagna.
Sulla base di tali convincimenti, quindi, la CTP ha fatto proprie le ragioni del contribuente, sposando un orientamento che, se confermato da altre pronunce, potrebbe fornire un’importante ancora di salvezza per i coltivatori diretti contro la sempre maggiore diffusione di accertamenti in materia di rifiuti nei confronti degli operatori agricoli.
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