Uno stesso risultato economico può essere raggiunto in più modi diversi, utilizzando strumenti giuridici alternativi. Si tratta di un principio logico, ma in materia di cessione d’azienda la Corte di Cassazione pare non essere d’accordo.
Si tratta di una posizione che ha una lunga storia giurisprudenziale, ma che i giudici di legittimità hanno rinverdito con la sentenza n. 28064/2017, con cui hanno affermato che il conferimento di una azienda agricola all’interno di una società e la successiva cessione delle quote sociali deve ritenersi un’operazione fiscalmente riconducibile alla cessione di azienda.
Tale inquadramento viene fornito non tanto per i profili elusivi eventualmente riscontrabili nell’operazione, quanto piuttosto perché l’art. 20 del DPR 131/1986, in materia di imposta di registro, rappresenta una norma interpretativa che indica, ai fini fiscali, la prevalenza della volontà delle parti sull’aspetto formale impresso all’operazione, anche nel caso di atti tra loro collegati.
Secondo quanto affermato dalla Cassazione, nel caso oggetto di controversia era evidente che la costituzione della società semplice, con conferimento alla stessa dell’azienda di proprietà di due dei tre soci, sia stata un’operazione funzionale alla successiva cessione dell’azienda da parte dei due soci originari.
In base a ciò, afferma la Corte, le due operazioni devono essere assoggettate ad unica tassazione secondo il principio della maggiore onerosità.
Tale impostazione, tuttavia, presenta degli aspetti critici e pare essere addirittura contraria alla disciplina dettata dall’art. 10-bis, comma 4 dello Statuto del contribuente (L. 212/2000), il quale afferma che “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.
Riqualificare fiscalmente un’operazione sulla sola base del principio di maggiore onerosità, infatti, mal si concilia con la disposizione sopra richiamata. Parrebbe più opportuno, invero, che venisse valutata nel merito la legittimità della forma giuridica utilizzata: in caso di prognosi positiva, nessuna contestazione dovrebbe essere mossa da parte dell’Ufficio o dei giudici.
Parrebbe incongruente con la normativa, infatti, se l’Agenzia sostituisse una forma giuridica legittima con un’altra altrettanto valida solo sulla base della maggiore onerosità fiscale. Ciò, peraltro, significherebbe obbligare il contribuente ad un solo percorso giuridico, coincidente con quello fiscalmente più costoso.
La questione in commento, con il dibattito aperto tra la posizione “economica” della giurisprudenza e la tesi più “giuridica” sostenuta da diversi esperti, potrebbe trovare una sua soluzione nella prossima Legge di Bilancio: il disegno di legge in discussione contiene una previsione che vieta la riqualificazione sotto il profilo economico delle sequenze negoziali complesse come quella oggetto della sentenza in commento, ma anche del singolo atto registrato.
Chiaramente, tale norma interpretativa resta incompleta senza attribuirgli portata retroattiva: in base alla data di perfezionamento, infatti, due operazioni identiche potrebbero essere valutate e riqualificate in maniera differente, creando ingiustificate differenze. Servirebbe quindi, da parte del legislatore, un ultimo sforzo al fine di evitare dubbi interpretativi.
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