Con la sentenza n. 327/2016 la Commissione Tributaria di Pistoia ha ribadito due interessanti principi. In primo luogo l’Agenzia, in sede di accertamento, deve sempre tenere conto della potenzialità produttiva dell’azienda agricola; inoltre, l’acquisto di materie prime da terzi non comporta automaticamente l’esercizio di una attività commerciale, poiché le piante potrebbero essere ricoltivate o fatte oggetto di manipolazione o trasformazione.
Il caso oggetto della sentenza riguardava un avviso di accertamento emesso dal locale ufficio delle Entrate, il quale contestava ad una azienda agricola con determinazione del reddito su base catastale anche lo svolgimento di una parallela attività commerciale che il contribuente aveva illegittimamente ricondotto all’interno del reddito agrario.
Ciò veniva affermato tenendo conto delle sole fatture di acquisto e di vendita delle piante.
La CTP accoglieva le posizioni sostenute dalla difesa, la quale dimostrava che l’azienda aveva sempre svolto tutte le fasi del ciclo biologico necessarie per la creazione del prodotto finito e che, per fare ciò, era dotata di una struttura idonea all’esercizio delle attività agricole di coltivazione del fondo. Inoltre, nell’anno per cui erano avanzate le contestazioni, erano stati fatti acquisti per la produzione congrui rispetto alle cessioni effettuate.
Sulla base di tali affermazioni e prove, i giudici hanno confermato che un’attività agricola connessa produce reddito agrario soltanto laddove essa sia svolta dallo stesso soggetto e dalla stessa azienda che svolge l’attività agricola principale, purché rispetti il principio di prevalenza dei beni prodotti rispetto a quelli acquistati. Beni acquistati che, fra l’altro, devono far parte della stessa categoria merceologica dei beni prodotti.
Inoltre l’attività connessa non si deve esaurire in una mera attività di commercializzazione o valorizzazione, ma è necessaria una precedente fase di trasformazione o manipolazione, così come precisato anche dalla circolare 44/E del 2004.
L’attività posta in essere dal florovivaista, quindi, doveva essere fatta rientrare integralmente all’interno del reddito agrario. Infatti, la maggior parte dei prodotti venduti risultava prodotta dall’attività di coltivazione del fondo. Mentre la maggior parte dei prodotti acquistati da terzi erano destinati alla ricoltivazione per una o più fasi del ciclo biologico dando luogo, anche in questo caso, ad attività agricola principale.
La restante parte, invece, veniva acquistata al fine di ampliare la gamma dell’offerta e destinata alla vendita dopo essere stata sottoposta ad attività di manipolazione: pertanto, nel rispetto del requisito della prevalenza, anche tale attività poteva essere fatta rientrare all’interno del reddito agrario come attività connessa. Sul punto ricordiamo il fondamentale parere espresso dall’Agenzia delle Entrate con la consulenza giuridica (Prot. 954-72/2014), già commentata dai nostri esperti nella circolare 186/2015.
Peraltro, nel caso all’esame della Commissione il requisito della prevalenza veniva provato con particolare dovizia dalla difesa, che sosteneva che il volume di piante vendute all’anno era pienamente coerente con la potenzialità dei terreni utilizzati e con le risorse sfruttate, tenendo conto delle diverse fasi di coltivazione, della tipologia delle piante e degli acquisti svolti ai fini della ricoltivazione.
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