La specializzazione richiesta alle imprese agricole richiede investimenti in termini di competenze e mezzi. Negli ultimi anni i contratti di compartecipazione agraria si sono diffusi tra le imprese agricole dimostrando la loro attualità nonostante le sue origini siano alquanto datate.
Il contratto di compartecipazione è un contratto atipico, agrario di tipo associativo con il quale due imprenditori agricoli si accordano per coltivare una determinata coltura tramite un terreno nella disponibilità di una delle parti. Il compartecipante, infatti, sopporta, insieme all’imprenditore che concede il terreno (concedente), i rischi dell’attività, realizzando congiuntamente una sorta di impresa comune limitata a specifiche colture, e potendo rischiare di non ricevere la propria quota in annate improduttive.
Affinché si possa ravvisare un contratto di compartecipazione agraria occorre che i costi relativi all’attività di coltivazione siano sostenuti da entrambe le parti, le quali devono essere parte attiva anche nelle attività di coltivazione e nella gestione ed organizzazione dell’attività posta in essere.
Il compartecipante deve disporre di una significativa attrezzatura con la quale fornire il proprio apporto all’attività di coltivazione. Qualora il suo apporto fosse esclusivamente di “manovalanza”, il rapporto giuridico sarebbe configurabile quale lavoro subordinato. Specularmente il concedente non può limitarsi a mettere a diposizione il proprio terreno e disinteressarsi delle attività di coltivazione per non incorrere nella riqualificazione dell’accordo in altro istituto contrattuale.
Altro aspetto da non sottovalutare è la tipologia di colture che possono essere praticate con questo contratto senza che lo stesso possa essere diversamente qualificato, ad esempio, in contratto di affitto. Infatti, l’art. 2 della Legge n. 756/1964, tra i contratti agrari di tipo associativo, ha fatto salvi i contratti agrari di compartecipazione limitati a singole coltivazioni stagionali o intercalari.
Anche l’art. 56 della Legge n. 203/1982 ha ammesso la liceità dei contratti associativi di soccida e di compartecipazione, purché quest’ultimo sia limitato a singole coltivazioni stagionali.
Il contratto di compartecipazione agraria stagionale è valido anche senza far ricorso allo strumento dell’accordo in deroga di cui all’art. 45 della Legge n. 203/1982.
Il contratto di compartecipazione deve, pertanto, avere ad oggetto singole colture, non ripetute e caratterizzate dalla stagionalità.
L’indicazione precisa della coltura che le parti intendono avviare e del terreno messo a disposizione dal concedente, indicando possibilmente anche il corrispondente valore del reddito agrario, sono elementi che devono essere indicati nell’accordo. La durata del contratto non può eccedere i termini correlati al ciclo produttivo della coltura praticata e l’arco temporale del contratto sarà riferito al periodo che va dalla piantagione della coltura fino alla raccolta dell’intero prodotto.
Non esistendo un elenco delle colture stagionali, occorre quindi affidarsi alla disciplina agraria nell’identificazione di tali colture.
La giurisprudenza ha delineato le caratteristiche delle colture stagionali, definendo tali quelle a ciclo breve che si inframettono tra il raccolto e l’impianto di altra produzione di ciclo più lungo, ma non tale da precludere di praticare un’altra coltura nell’ambito dello stesso terreno e nella medesima annata agraria.
Compete al giudice di merito della sezione specializzata agraria accertare, tenendo conto della pratica agraria della zona ove è ubicato il fondo, se la coltura risponda ai sopra illustrati requisiti.
Per quanto riguarda la ripartizione del prodotto ottenuto, le parti possono accordarsi liberamente in funzione dell’apporto fornito all’attività posta in essere. Il prodotto è, solitamente, diviso in campo subito dopo la raccolta ed avendo le parti proceduto congiuntamente alla cura del ciclo biologico tale prodotto risulta acquisito a titolo originario.
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